martedì 26 luglio 2011

•Recensione: DAVID NICHOLLS - Un Giorno

This could really be a good life.

«Immaginiamo un giorno a scelta isolato dal contesto della vita.
Fermati, lettore, e rifletti a lungo sulla lunga catena di vil metallo o oro,
spine o fiori, che non ti avrebbe mai legato,
se non fosse stato per la formazione di quel primo anello
in quel giorno memorabile»
Charles Dickens, Grandi Speranze

Li avete notati? Sono ovunque, impossibile non vederli. 
Donne e uomini, persone di qualsiasi genere o età, stipati sugli autobus o in metropolitana, nei bar o nei centri commerciali, fra lo sferragliare dei treni e gli sbadigli delle sale d'attesa, tutti chini su un libro, un romanzo con una caratteristica copertina arancione. Con buona probabilità staranno ridacchiando impotenti o, tranquillamente e senza vergogna, staranno asciugandosi una lacrima. Di certo si saranno dimenticati del mondo che li circonda.

Il libro che li assorbe in maniera così catartica è Un Giorno di David Nicholls, pubblicato nel lontano giugno 2009, ma che solo ora sembra aver imboccato la traversina del passaparola, raggiungendo un successo di dimensioni enormi. Venuto alla luce in un mondo editoriale in fermento, sgomitando fra il colosso svedese Stieg Larsson e la vampiresca Stephenie Meyer, in poco più di un anno è stato in grado di conquistarsi un posto nelle classifiche, tramutandosi in best-seller e diventando il più venduto romanzo inglese del 2010Ancora più sorprendente risulta il successo internazionale: tradotto in ben 31 lingue si aggiudica per tre mesi un posto d'onore sulla bestseller list del New York Times. Riesce a emergere anche oltreoceano e conquista un lettore dopo l'altro a  partire dall'editore americano di Nicholls che racconterà di come i suoi colleghi probabilmente lo giudicarono pazzo, vedendolo rinchiuso nel proprio ufficio per un giorno intero con il libro di Nicholls in mano, ridendo ad alta voce un minuto e singhiozzando come un bambino quello dopo.
Ma cosa rende così speciale Un Giorno? Innanzitutto la struttura non è fra le più usuali.

E' il 15 Luglio 1988, siamo ad Edimburgo e Emma e Dexter sono raggomitolati l'uno accanto all'altra sul letto a una piazza della ragazza, nudi e pieni di belle speranze, a ridere sommessamente e a parlare del futuro e dei propri progetti. E' la loro prima alba da laureati... è la loro prima alba insieme. Da quella notte, nel 15 Luglio di ogni anno, le vite di Emma e Dexter in qualche modo si incroceranno. Il 15 Luglio non è una data a caso: è la festa di St. Swithin e St Swithin's Day è la canzone con cui la lacerante voce di Billy Bragg evoca dal 1985 sepolte nostalgie. Un Giorno rivisiterà Emma e Dexter in questa ricorrenza nel corso dei successivi vent'anni, che li vedranno tracciare le proprie vite in parallelo, senza tuttavia allontanarsi mai veramente l'uno dall'altra, mantenendo sempre una connessione indissolubile fra loro, che diverrà ogni volta più scoppiettante ed evidente nei loro momenti di intersezione: Emma e Dexter sono più felici, più divertenti, semplicemente persone migliori quando sono insieme e per questo sono destinati ad amarsi perdutamente.

In questo modo due sconosciuti diventeranno una coppia di amici, migliori amici, anche se le loro strade arriveranno a divergere radicalmente. Il 15 Luglio potrà capitare di vederli a cena, a raccontarsi le miserie e le conquiste dell'anno passato, oppure sul ponte di un traghetto sul Mar Egeo, ad arrostirsi al sole e a leggere; non sarà raro vederli battibeccare, litigare e incriminarsi a vicenda, per poi rincorrersi, lasciare un messaggio a una stupida segreteria telefonica, ubriacarsi, ritrovarsi e fare l'amore fino a diventare adulti. Quello che appare evidente a chiunque, ovvero che Emma e Dexter in fondo sono fatti l'uno per l'altra, è un pensiero ricacciato nelle profondità del cuore di entrambi, perché la verità è che Em e Dex sono troppo innamorati per deludersi.

Grazie a questo stratagemma narrativo, David Nicholls  scatta anno dopo anno una serie di splendide fotografie che aprono e chiudono le fasi cruciali della vita di Emma e Dexter, ventenni negli anni ottanta e poi via via quarantenni nel Nuovo Millennio. 
L'idea venne suggerita a Nicholls dalla Tess dei d'Ubervilles di Thomas Hardy, solita a prendere filosoficamente nota di tutte le giornate scolpite da un episodio. Un Giorno, tuttavia, suggerisce che esistono centinaia di momenti che viviamo come memorabili nel corso degli anni, ma a nessuno è veramente dato sapere se la catena delle cause e delle concause che può venirsi a formare cambi davvero qualcosa o ci lasci un margine di arbitrio.

La scelta di descrivere una storia d'amore con l'espediente di raccontare vent'anni nello stesso giorno si rivela essere un dispositivo estremamente efficace, in grado di fornire una serie di vivide istantanee di una relazione. Al termine di ogni capitolo il lettore si ritrova a chiedersi cosa accadrà dopo, quando improvvisamente, alla pagina successiva, un anno è già passato e la situazione è completamente stravolta, cambiata in modi sorprendenti, ma estremamente credibili. Infatti la vita è imprevedibile, sempre in bilico fra idillio e disperazione, volubile, incostante e per questo estremamente preziosa. 
Nicholls affermò di aver voluto creare «l'impressione di guardare attraverso un album fotografico», in modo che i personaggi cambiassero all'apparenza, rimanendo in fondo sempre fedeli a sè stessi. 

Tuttavia, ciò che tutt'ora rende Un Giorno un fenomeno editoriale non è il formato, bensì il contenuto, che fa appello alle donne così come agli uomini. I sessi, in generale, hanno abitudini di lettura molto diverse fra loro; senza cadere in stereotipi, vi è un'opinione molto diffusa di come le donne sulla carta stampata preferiscano il romanticismo e gli uomini il divertimento e i lazzi. In Un Giorno si ottengono entrambi: la commedia è travolgente e la storia d'amore colpisce il lettore con un grande wallop emotivo. Anche l'amore, a dirla tutta, è gestito in maniera estramente amichevole e scanzonata: non vi è sentimentalismo becero e neppure uno smodato uso di zuccherosa melassa. Le azioni vengono lasciate libere di parlare per sè stesse e le emozioni, molto realisticamente, non sono cristallizzate nelle proprie definizioni, ma aggrovigliate in una matassa indistricabile e confusa. E tutto ciò dipende in gran parte dall'estrema e tangibile bellezza dei due personaggi principali. Dex e Em, Em e Dex. Un dittico degno di passare alla storia, come Liz Taylor e Richard Burton, Fred Astaire e Ginger Rogers, Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti.

Lui è Dexter Mayhew, il prototipo della nuova razza dell'homo britannicus: bello, ricco, irriverente, megalomane, orgoglioso della propria libidine e della propria virilità. Dexter è tutto quello che una metropoli come la Londra degli anni '80 può desiderare di partorire: un giovane rampante nel fiore dei suoi anni, intimidito e imbarazzato da nulla, amante delle macchine sportive, degli orologi in titanio, dei locali notturni e del sesso sfrenato. Se non fosse per quel ciuffo sbarazzino sugli occhi, il sorriso sfrontato e la parlantina brillante, Dexter apparirebbe solo come l'ennesimo sbruffone insolente che, per qualche fortunata circostanza, ha raggiunto il piccolo schermo e il successo. Ma Dex, in realtà, è molte altre cose prima di essere lo scintillante presentatore dal finto accento cockney. Dexter è, in fondo, un romantico, un ragazzo dall'intelligenza brillante che sovente si trova a ricoprire la parte dell'adorabile imbecille

Lei è Emma Morley, rampolla del proletariato in ascesa: non è propriamente una vera bellezza, non possiede parentele altolocate o quantomeno benestanti, ha un irritante accento dello Yorkshire e non presta alcuna attenzione alla sua presenza fisica. Ha lasciato il suo paesino natale per trasferirsi ad Edimburgo, dove si è laureata a pieni voti in Lettere e Drammaturgia, non privandosi neppure del dottorato in Pedagogia. Senza dubbio Emma ha una mente davvero brillante, una lingua tagliente e un arsenale inesauribile di risposte sarcastiche e pepate: con un buon taglio di capelli e un vestito nuovo sembrerebbe davvero targata per il successo. Purtroppo tutto questo non le impedisce di rovinarsi i suoi anni migliori, lavorando in un ristorante messicano di infimo livello, e di dividere l'appartamento con una detestabile coinquilina, Tilly Killick, che non manca mai di farle trovare i suoi gargantueschi reggiseni a mollo nel lavandino della cucina oppure un pezzo di formaggio smozzicato nel frigorifero. 
E' opinione comune -anche di Dexter- che Emma, in fondo, lo faccia apposta a vivere male, quasi a volersi cucire addosso un'aura da poetessa maledetta, in modo da assecondare la propria vena creativa: infatti il sogno di Emma è quello di scrivere e non sarà raro vederla cimentarsi nella stesura di poesie, sonetti, pièce teatrali, romanzi, saggi e sceneggiature televisive impegnate. 
Eppure Emma Morley, a dispetto delle apparenze, è quanto di più lontano dal prototipo di nerdy che Londra ha da offrire: Emma, in realtà, è sveglia, intellettuale, indipendente e, pure lei, intimamente romantica. Tuttavia è anche estremamente, eccessivamente, consapevole: Emma, a differenza di Dexter, sa bene che maneggiare i sentimenti è come camminare sui carboni ardenti. 

Il primo incontro fra Em e Dex, come amano chiamarsi fin dal principio, ha un ché di surreale. Lei, osservando la pelle abbronzata di lui in controluce, non può a fare a meno di definirlo "fascinoso"; lui, guardandosi intorno nella stanza di lei, si rende conto di come ogni particolare ostenti una visione implacabile della vita, come un manifesto per giovani promesse e Emma, per giunta, sembra non aver alcuna vergogna a sbattergli la verità in faccia.Premesse interessanti, ma entrambi, dopo la prima notte insieme, concordano nel ritenere come il loro sia un amore troppo difficile per due ventenni con ancora il latte sulle labbra, così lo lasciano sfumare fra chiacchiere e caffè. Prima occorre pensare al futuro. Così arrivano i viaggi intorno al mondo di Dexter e lo snervante lavoro al Loco Caliente di Emma, i successi e le delusioni che ogni vita può offrire, fidanzate borghesi e uomini dall'umorismo terrificante, pastiglie di ecstasy, vodka all'arancia e lacrime amare. Lui alle prese con il proprio exploit televisivo da meteora e lei con i problematici adolescenti di una scuola di periferia.Questi sono Emma e Dexter: due indimenticabili protagonisti, decadenti e terribilmente reali, capace di far rimbombare le proprie commozioni all'interno della pancia e del cuore del lettore, sentimenti talmente profondi da sentirne la mancanza appena girata l'ultima commovente pagina.

La narrativa non sempre assomiglia alla vita; nei romanzi, molto spesso, tutti si prendono perlopiù sul serio, a partire dall'autore. Un Giorno, invece, si presenta con una garbata e stuzzicante dose di ironia, srotolando in un battibaleno vent'anni di vicende, per costruire una sola storia: quella di un amore sempre rinviato.Eppure non si tratta di un romanzo rosa, la cui funzione è apertamente afrodisiaca, capace di appagare l'indefinita tensione erotica femminile tra equivoci, interruzioni e ostacoli, ma che, alla fine della fiera, è in grado di fornire al lettore abbondanti dosi di desiderio e possesso. Niente di tutto questo è Un GiornoAmore c'è, sesso anche, elementi fondamentali nella chimica inconfutabile instauratasi fra Emma e Dexter, come in quella di ogni coppia. Ma con Un Giorno ciò che entra veramente in campo sono i sentimenti, quelli più belli e puri, che oggi definiremmo come "ottocenteschi". 
La storia d'amore è abbagliante e insidiosa e Emma e Dexter, nel loro procedere a tentoni, più di una volta, fra incontri, matrimoni falliti, sballi, viaggi e lavoro, rischieranno di perdere per sempre l'unica e più importante occasione che la vita gli ha offerto: il loro legame. 

Vent'anni sono veramente tanti. Impieghi, luoghi esotici, locali e abitudini, scorrono leggeri nel romanzo insieme al linguaggio, alle convinzioni, agli anni e alle ideologie, sballottando il lettore fra scintillanti studi televisivi e monolocali sconquassati, dalla campagna dell'Oxfordshire alla metropolitana londinese, improvvisamente e senza tregua, rendendo i cimeli della pagina precedente già il vintage di un'epoca passata.Nicholls si rivela un acutissimo osservatore di dettagli, sia che questi appartengano alla realtà sociale dei benestanti di periferia o a quella di un monolocale di Clapham, riuscendo a condire tutto con il caratteristico pizzico di ironia. E così la barba del preside diventerà un passamontagna, la frizzante co-conduttrice di Dexter parlerà in maiuscolo e si dimostrerà in grado di iniziare una lettera di condoglianze con la parola "Uei!" e l'uomo di Emma, Ian, dall'ironia deprimente, arriverà a farle la proposta della sua vita infilando l'anello di fidanzamento fra tentacoli di calamari. 

Ma in questo romanzo c'è ancora molto di più che le battute e la fornitura apparentemente illimitata di dettagli fumettistici. 
Divertente e lucido, Un Giorno si dimostra non del tutto conforme ai precedenti libri di Nicholls, legati al genere comedy, per cui, agli sfortunati eroi, ogni cosa accadeva appunto perché si era in una commedia. In Un Giorno, allo spumeggiante talento comico di David Nicholls, si aggiunge una ritrovata profondità e con il passare degli anni -e di tutti i 15 Luglio- la narrazione cresce esponenzialmente di potenza

La trasparenza della scrittura arguta di Nicholls richiama alla mente, ancora una volta, Nick Hornby: una prosa leggera ed estremamente scorrevole, ben lontana dal lasciare intravedere il duro lavoro che c'è dietro la propria composizione, ma comunque in grado di trasmettere la ricchezza delle proprie caratterizzazioni e il rifiuto di fornire qualsiasi tipo di consolazione facile. Infatti, nonostante la brillantezza comica, Un Giorno è anche un racconto sulla solitudine e sulla ferocia del destino, in grado di far emergere il terrificante divario fra le aspirazioni giovanili e i compromessi che, ahimè, si finisce per tollerare. 
Come Hornby, Nicholls preferisce la pop-culture alla high-culture e come Hornby riesce a colpire il jackpot del lettore più tradizionale senza sacrificare intelligenza e sottigliezza.

Beh, credo che ormai tutti ne sarete convinti: Un Giorno è davvero un meraviglioso, meraviglioso libro, saggio, divertente, ammiccante, compassionevole e, spesso, anche insopportabilmente triste.
Un Giorno è semplicemente emozionante, raffinato e leggero, naturale come il decadere delle epoche, delle etichette, degli ideali e dei modi per dannarsi.

venerdì 15 luglio 2011

•Recensione: LISA SEE - Fiore di Neve e il Ventaglio Segreto (Snow Flower and the Secret Fan)

Memorie di una laotong

«Una vera signora non tollera nulla di brutto nella propria vita.
  Solo attraverso il dolore si arriva alla bellezza.
  Solo attraverso il dolore si ottiene la pace.»

Quando Giglio Bianco, la nostra narratrice, ha solo sei anni, viene colpita dalla madre con un sonante schiaffo sul volto; nonostante il bruciore e l'umiliazione subita, la bambina non prova altro che felicità, tanto da essere obbligata a mordersi le labbra per non sorridere: quella percossa serviva ad attirare la fortuna e ad allontanare gli spiriti malvagi e, a dirla tutta, era la prima vera dimostrazione d'affetto che Giglio Bianco avesse mai ricevuto dalla madre.
Al cospetto di questa scena e delle parole di Giglio Bianco il lettore rimane attonito, sconvolto e, al contempo, completamente agganciato alla narrazione. In fondo, ritrovarsi ad assistere a una madre che cresce a schiaffi la propria figlia non dovrebbe essere una novità per chi legge: Lisa See, fin dalla prima pagina, infatti, anticipa gli avvenimenti e il lettore si ritrova ad aver appreso già abbastanza nozioni riguardo i costumi delle donne della provincia cinese del XIX secolo per riuscire ad anticipare il colpo.

Per gran parte di Fiore di Neve e il Ventaglio Segreto il lettore si scopre a trattenere il respiro, a scorrere le pagine in apnea, come se il vento fosse stato risucchiato dal proprio corpo o come se stesse annegando. Qualsiasi sia il sesso di chi legge, sfido chiunque a non rimanere allibito di fronte alla prosa di Lisa See; non stiamo parlando di alta narrativa e non ci troviamo al cospetto di un capolavoro del genere: è semplicemente  ciò che c'è scritto e la semplicità con cui viene riportato a spiazzare il lettore. Con rara vividezza e sensibilità, una donna occidentale, seppur di origini orientali, riporta quello che era il mondo della Cina ottocentesca, sorvolando sulle campagne, le città e gli imperi, per catapultarci in un piccolo villaggio rurale, Puwei; oltrepassiamo la soglia di un'umile casupola e veniamo gentilmente scortati all'interno della stanza al piano di sopra, quella delle donne, dove vi rimarremmo per quasi tutta la narrazione, al cospetto delle nostre protagoniste. Non sono nè eroine nè principesse, non saranno destinate a un avvenire da guerriere o da concubine: sono, semplicemente, donne comuni.

Ed è proprio questo il punto di snodo che costituisce la forza del romanzo: Giglio Bianco, l'io narrante, non parla al lettore con un linguaggio forbito, non narra straordinarie avventure, ma rivive, ormai ottuagenaria, la propria esistenza divisa fra quotidianità e dolori domestici. Non la vedremo combattere contro draghi o vivere una vita breve ma sfolgorante; Giglio Bianco sarà portavoce, insieme a tutte le co-protagoniste, di una realtà tanto semplice quanto inconcepibile, lontana anni luce dal nostro mondo occidentale: quella descritta è la condizione della donna della Cina, determinata dalla tradizione più ferrea, in nome della quale ogni impulso verso l'auto-realizzazione è stato arginato, l'identità individuale reclusa all'interno del nucleo familiare e poi sepolta fra le pieghe cerimoniali del matrimonio combinato.

Dalle parole di Giglio Bianco impariamo da subito l'imperativo a cui tutte le bambine erano tenute ad attenersi: avrebbero trascorso la maggior parte della loro esistenza recluse all'interno della stanza delle donne, nei quartieri femminili della casa in cui gli uomini entravano di rado, uno spazio in cui poter lavorare e scambiare opinioni.
L'essenza della società confuciana si basava, infatti, su una fondamentale distinzione, quella fra nei, il regno interno della casa appartenente alle donne, e wai, il mondo esterno appannaggio degli uomini. Pensieri e azioni femminili non erano tenuti ad oltrepassare la soglia delle stanze più interne.
Altri precetti di Confucio erano volti a governare la vita di una donna, per tutto l'arco della sua esistenza. Il primo consisteva nelle Tre Obbedienze: «Da bambina, obbedisci al padre; una volta sposata, obbedisci al marito; da vedova, obbedisci a tuo figlio». Il secondo elencava le Quattro Virtù codificanti la condotta e le occupazioni di una donna: «Sii casta e arrendevole, pacata e virtuosa nei tuoi atti; tranquilla e piacevole nelle parole; fine e misurata nei movimenti; perfetta nei lavori manuali e nel ricamo».
Solo le fanciulle che, fin dall'infanzia, si attenevano a questi principi erano in grado di diventare donne virtuose.

L'intera società e persino la gerarchia familiare imponevano alla donna un imprescindibile reticolo di precetti a cui attenersi.
Ci si aspetta che una donna voglia bene ai figli appena questi le escono la ventre, eppure al lettore capiterà sovente di fare conoscenza con giovani madri deluse dalla nascita di una bambina, oppure invase da una tetra malinconia dopo aver messo al mondo un maschio. Una donna poteva amare una figlia con tutta l'anima, ma era costretta a crescerla nella sofferenza; solo i maschi potevano concentrare su di sé l'affetto profondo dei genitori, ma per la propria madre non vi sarebbe stata mai la possibilità di fare autenticamente parte della loro realtà.
Una piccola figlia istintivamente amava i genitori, che si prendevano cura di lei, nonostante fosse considerata fin dal primo vagito un "ramo secco" dell'albero familiare, un peso inutile per la gerarchia della casa, da cui sarà condannata, con il matrimonio, ad allontanarsene per sempre.

Si supponeva, inoltre, che una sposa si innamorasse del proprio marito fin dal giorno del Contratto di parentela, anche se non lo avrebbe visto in faccia per altri sei anni. Veniva a lei richiesto di voler bene ai suoceri, sebbene una giovane moglie entrasse nella nuova famiglia da sconosciuta, inferiore a chiunque altro, con un rango appena al di sopra di quello dei servi.
Una donna si doveva sposare trasferendosi in un nuovo nucleo familiare, per poi presentarsi a un marito sconosciuto e fare l'amore con lui da perfetta estranea ed infine sottomettersi ai capricci della suocera. Con un pò di fortuna, la dea concedeva come primogenito un maschio, assicurando così alla madre un rango rispettabile; in caso contrario, una donna andava incontro al perpetuo disprezzo della suocera, al dileggio delle concubine e alla delusione delle proprie figlie.
Si viveva  unicamente per soddisfare e compiacere gli altri.
I figli erano l'unico fondamento e la sola ragione di vita per una donna. Le conferivano un'identità e una dignità, insieme a protezione e sicurezza economica. La procreazione e il perpetuarsi delle dinastie, infatti, sono gli unici obiettivi che un uomo non può raggiungere se non con l'aiuto della moglie. Generando un figlio maschio, portatore del nome della propria stirpe, l'uomo realizzava il proprio supremo dovere filiale e la donna conquistava la sua massima gloria.

Queste convenzioni sociali, intestine alle famiglie, erano volte a garantire una certa stabilità in ogni provincia dell'impero, ma per le donne si traducevano in una vita di privazioni, sofferenze e violenza.
Senza dubbio, fra le varie sevizie a cui erano costrette a sottoporsi, la più agghiacciante era quella del bendaggio dei piedi, all'epoca del racconto usanza condotta ai suoi massimi eccessi e successivamente abolita da un decreto imperiale del 1902; ci vollero ben cinquant'anni affinché la pratica scomparisse definitivamente anche nelle più remote provincie rurali.
La fasciatura consisteva nel deformare la struttura ossea dei piedi della bambine in tenera età fino a ridurli a "gigli dorati", monconi lunghi dai sette ai dodici centimetri, che determinavano una andatura oscillante come quella di un fiore di loto in balia del vento.
Le dimensioni dei gigli dorati avrebbero  determinato il valore della bambina come sposa. Agli occhi della famiglia del marito, due piedi minuscoli sarebbero stati la prova dell'autodisciplina e della capacità di sopportazione, attributi essenziali per affrontare i dolori del parto o qualsiasi disgrazia disposta dal destino; due piedi minuscoli avrebbero mostrato a chiunque un'attitudine all'obbedienza e le scarpette ricamate dalla bambina stessa avrebbero confermato le abilità nelle arti domestiche. Aspetto ancor più fondamentale, i gigli dorati erano destinati ad affascinare lo sposo nei momenti più intimi, suscitando un forte impulso erotico e svolgendo un ruolo fondamentale, quindi, anche nel sesso e nella procreazione.

Questo atroce rituale, che provocava sofferenze profonde alle bambine a cui veniva sottoposto, non determinava unicamente una costrizione degli arti, ma, al contempo, strangolava lo spirito.
Soffocata dalla tradizione e dalle usanze della propria cultura, Giglio Bianco sarà condannata a una vita da reclusa, costretta, come tutte le altre donne, in un sistema di gabbie e di scatole cinesi, a cui sarebbe stato impensabile ribellarsi. L'unico spiraglio, l'unico soffio d'aria benefico all'interno della nebulosa tela del costume cinese è rappresentato dal sentimento che la piccola protagonista, per indulgente concessione del Fato, si ritroverà a provare per la sua laotong, la sua "vecchia sè stessa", la sua sorella per la vita: Fiore di Neve.

Giglio Bianco e Fiore di Neve non si conobbero fino ai sei anni, ma erano destinate ad intrecciare una sorellanza eterna per i numerosi caratteri che le accomunavano: erano nate nello stesso giorno, nel medesimo mese e anno, avevano un'identica statura, erano ugualmente belle e, soprattutto, avevano intrapreso la fasciatura dei piedi nello stesso giorno. Sarà proprio la loro amicizia, il loro legame di "anime gemelle" a permetterle di sopravvivere insieme, navigando abbracciate e unite in una vita di scoramento, dolore e reclusione. Ed è proprio della forma più spontanea e immediata dell'amore, l'amicizia, di cui sono imbevute le pagine di questo romanzo, contenenti tutti quegli elementi -la gioia, la condivisione, la complicità, l'erotismo inespresso- che danno a due amiche un potere superiore a quello di ogni altra coppia, che, a volte, neppure i mariti sono in grado di eguagliare.

L'affetto fra due vecchie sè stesse è un legame inscindibile. Il vincolo con la propria laotong ha origine da una libera scelta, l'unica, forse, che Giglio Bianco e Fiore di Neve potranno compiere nella loro vita. Nel momento in cui le due bambine dai piedi bendati si guardano negli occhi, per la prima volta, all'interno della portantina, scatta e si compie un meccanismo inarrestabile: come la favilla capace di accendere un fuoco o come il seme da cui avrà origine un'intera risaia, quel primo timido sguardo determinerà un sentimento imponderabile.
Nel corso degli anni e della narrazione, il loro affetto sarà destinato a crescere fino ad assumere le sembianze di un amore vero e profondo, germogliato e protetto grazie alla reciproca collaborazione, con duro lavoro, volontà incrollabile e favore della natura.
A cementare questo rapporto, il nu shu, la scrittura segreta delle donne, altro straordinario elemento descritto con grande maestria da Lisa See.

Secondo la tradizione cinese, gli uomini hanno il cuore di ferro, mentre le donne sono fatte d'acqua.Questa caratteristiche trasparivano in maniera molto evidente dalle rispettive scritture.
La scrittura maschile -quella, ancora oggi, adottata- possiede più di cinquantamila ideogrammi, ben diversi l'uno dall'altro, ciascuno dotato di profondi significati e differenti sfumature di senso. Il nu shu, invece, la scrittura femminile oggi ormai completamente scomparsa, contava unicamente seicento caratteri, di cui le donne si servivano foneticamente per creare circa diecimila parole.
Per apprendere e padroneggiare la scrittura degli uomini occorre una vita intera; al contrario, il nu shu veniva insegnato alle bambine in pochi anni per comunicare fra di loro ed era fondamentale ricavare il significato di ogni singolo carattere dal contesto in cui era scritto, pena atroci malintesi.
Gli uomini, in fondo, discutevano essenzialmente del mondo esterno, della letteratura, del denaro, mentre le donne non avevano altro di cui scrivere se non la realtà domestica e la vita interiore: bambini, faccende quotidiane e sentimenti erano gli argomenti prediletti dalle fanciulle come dalle vedove.

Eppure il vero scopo per cui, nel corso dei secoli, le donne svilupparono una propria scrittura segreta era un altro: al contrario di quanto le protagoniste saranno portate a credere nel comporre le loro prime missive, il nu shu non serviva a redigere bigliettini infantili da inviarsi a vicenda, infarciti delle più sterili frasi di circostanza.
Il nu shu dava alle donne -entità invisibili in un mondo di tribolazioni- una voce. Il nu shu permetteva alle donne di avvicinarsi l'una all'altra, nonostante la difficoltà nel muoversi sui gigli dorati; metteva le ali ai pensieri e costituiva una valvola di sfogo, al contrario della credenza prettamente maschile per la quale le donne non possiedono mai nulla di interessante da dire.
La società cinese ottocentesca non si aspettava che le proprie donne provassero emozioni o fossero in grado di formulare idee creative: il nu shu dava loro questa possibilità. Era in grado di rivelare la verità sulle vite di ciascuna, per quanto, anche due laotong, potessero trovarsi lontane l'una dall'altra.
Il nu shu costituirà il più luminoso raggio di speranza dell'intero romanzo, eppure, la tragica ironia della vita determinerà la sofferta conclusione delle vicende per un banale errore di lettura; le sfumature e le ombreggiature di una singola linea tracciata sulla piega di un ventaglio, trasmuteranno la storia, determinando una svolta inaspettata nel corso degli eventi.

Il racconto di Fiore di Neve e il Ventaglio Segreto è tanto inquietante quanto bello e ineffabilmente triste. Lisa See compone una novella intrisa di pura grazia femminile, che mantiene, tuttavia, gli occhi puntati su un mondo e un tempo estremamente lontani dal nostro nuovo millennio, componendo con acume e delicatezza un ritratto autentico di una cultura e di un'epoca.
E' difficile non identificarsi con Giglio Bianco e il suo disperato desiderio di essere toccata in quel luogo che comunemente chiamiamo "anima", attraverso una connessione appassionata con un'altra sé stessa - desiderio che qualunque donna, almeno una volta nella vita, si ritrova a provare.

Per quanto fosse per lei inopportuno sia desiderarlo che aspettarlo, Giglio Bianco, per tutta la durata del racconto, aspirerà all'Amore. Nei suoi anni di latte, nutrirà il sogno di vedersi amata e apprezzata dalla madre e da tutti gli altri membri della famiglia: per fare questo, si sforzerà di adeguarsi alle loro aspettative, si lascerà fasciare i piedi e non emetterà neppure un sospiro quando le verranno spezzate le ossa affinché arrivassero ad assumere una forma migliore.
Eppure i dolori più tormentosi che avrebbe dovuto affrontare sarebbero stati quelli del cuore, della mente e dell'anima. Oltre a deformarle i piedi, la fasciatura contribuirà a cambiarla radicalmente: il processo di costrizione non cesserà mai per tutto il corso della sua vita e la trasformerà dalla bambina arrendevole delle prime pagine alla donna più altolocata della contea, fino ai quarant'anni, quando la rigidezza dei suoi gigli dorati si trasferirà al suo cuore, talmente aggrappato alle ingiustizie subite e ai risentimenti accumulati, tanto da impedirle di perdonare colei che arriverà ad amare più di ogni altra cosa al mondo: la sua laotong.

Giglio Bianco, nel narrare la propria storia, scorre le pieghe del ventaglio a cui lei e Fiore di Neve affidarono grazie al nu shu i loro pensieri più intimi e, attraverso il filtro dei suoi ricordi, il lettore è in grado di ricostruire una vita intera, dove, al termine di tutto, l'amicizia rimane la costante sempiterna, fondamentale e indissolubile.
La prosa traslucida di Lisa See brilla della bellezza del XIX secolo e della cultura cinese, ma al contempo ci fa bruciare di indignazione per la sua bruttezza sessista e le ingiustizie perpetrate. Portando alla luce il mondo segreto di queste donne comuni, Lisa See evoca un'umanità aliena che, forse, è la migliore da perdersi, ma non certo da dimenticare.

martedì 5 luglio 2011

•Recensione: MARGARET MITCHELL - Via col Vento (Gone with the Wind)

Era un lontano giorno del 1926 quando una piccola casalinga di Atlanta di nome Peggy Marsh, fu costretta a mettersi letto per un irritante infortunio alla caviglia. Peggy non era mai stata una paziente modello e, anche in questo caso, si dimostrò un'inferma terribilmente capricciosa. La sua irascibilità sembrava insanabile, nonostante le attenzioni dell'adorante marito John, che, per far contenta la sua amata, prosciugò tutte le riserve delle locali biblioteche, università e licei, pur di fornirle sempre nuovi libri, che, inevitabilmente, Peggy divorava in poche ore; questo, fino a quando non raggiunse un'impasse che non poteva essere colmata nè con tomi di medicina nè con libelli pornografici. 
Irritata oltremodo, Peggy decise quindi di seguire il consiglio del marito: sprimacciò i cuscini, si tirò un pò su nel letto, prese una risma di carta e iniziò ad abbozzare l'ultimo capitolo di un romanzo sulla Guerra Civile, che, alle soglie degli anni Trenta, era ancora una pagina di Storia impossibile da dimenticare per Atlanta. Peggy ancora non lo sapeva, ma dopo poche righe era già invischiata in un libro che non si poteva altrimenti definire che "epico". 

Dieci anni dopo, la stessa Peggy si ritroverà sommersa da plichi consumati, bustarelle e fogli ingialliti che, accuratamente impilati l'uno sull'altro, arriveranno a raggiungere il "quasi un metro e cinquanta con i tacchi" della sua altezza, pronta per la battaglia.
Fino a qualche ora prima era stata una sorridente e zuccherosa padrona di casa, ben lontana dall'irascibile scricciolo che porgeva di scatto un frammento del suo monolitico manoscritto al cacciatore di talenti letterari Harold Latham. E tutto questo perché una sciocca amica aveva messo in dubbio la sua capacità di scrivere!

Quando nell'Aprile del 1935 le era stato chiesto di portare Latham a visitare Atlanta, Peggy aveva accettato con rammarico, ma, una volta preso l'impegno, non venne a meno nel dimostrare la squisita ospitalità che solo una donna del Sud era in grado di offrire. Lo scarrozzò da un evento mondano all'altro, presentandogli tutte le persone che conosceva e affascinandolo con la sua parlantina fluente e la sua risata adamantina.
Alle insinuazioni di Latham, Peggy rispose sempre che no, non aveva nulla di interessante da presentargli, ma era ben lontana dall'immaginare come le forze della letteratura si sarebbero abbattute sul suo caparbio capino.
Un'amica dalla lingua tagliente, per caso, la udì parlare del suo manoscritto e interloquì con sarcasmo: si dimostrò, infatti, alquanto stupita di come una persona futile come Margaret "Peggy" Mitchell avesse qualcosa da dire, su qualsiasi argomento. Peggy scrollò le spalle, scoppiò a ridere insieme agli altri, ma dentro di sé ribolliva di collera. 
Appena lasciata la compagnia si precipitò nel suo appartamento cercando sotto i tavoli, sotto il letto e nell'armadio le buste in cui era contenuto il suo manoscritto. Aveva nascosto i fogli fra gli asciugamani e i vestiti, li aveva usati come poggiapiedi, sottobicchieri e fermaporta; erano macchiati di caffè, sbiaditi o ingialliti, ma tanto bastava. Li buttò in macchina e alla prima occasione li consegnò a Latham, in un eccesso di impulsività di cui si sarebbe pentita un attimo dopo. Ormai era fatta: la battaglia era ufficialmente cominciata

In fondo, questo comportamento non era di certo nuovo per lei: Peggy era abituata a scatenare battaglie e, nonostante nella vita avesse seguito il classico tragitto di una perfetta debuttante georgiana, dentro di lei infuriava una bufera, un vento inarrestabile che sovente la portava via con sè, distaccandola nettamente dal ritratto dell'educata ragazza del Sud che avrebbe dovuto essere.
Ad Atlanta, dove l'apparenza era tutto, Peggy riusciva stranamente ad essere ciò che la gente si aspettava da lei: elegante, seducente, adulatrice e brillante conversatrice; ma dentro di sè nascondeva uno spirito provocatore e ribelle. Aveva, infatti, ereditato la stessa ostinazione della madre Maybelle che sovente l'aveva messa in guardia dal dedicare la propria vita ad un uomo: «Dona te stessa a piene mani con un cuore traboccante amore, ma dona solo ciò che ti avanza dopo aver vissuto la tua vita».

Peggy prese a cuore questo ammonimento e ritrovandosi, dopo la morte della madre, a capo di una famiglia rispettabile, ad assolvere le annose seccature che ci si aspettava da una matriarca, iniziò a combattere la sua prima vera e grande battaglia. 
Fu con rapidità felina che riuscì a mettere insieme uno stuolo di corteggiatori adoranti al suo seguito e, per un certo periodo, si sforzò di recitare il ruolo della deliziosa fanciulla sudista, in uno Stato, la Georgia, che aveva riconosciuto il voto anche alle donne, ma che di certo non le incoraggiava ad esprimere un'opinione. E Peggy di opinioni ne aveva molte
Annoiata dalle perenni e insipide battaglie per conquistarsi il consenso della società più aristocratica di Atlanta, decise di uscirne fuori. 

I ruggenti anni Venti erano perfetti per lei e per il suo nuovo ruolo da "maschietta", i suoi rapporti equivoci e i suoi atteggiamenti ribelli.
L'apice venne raggiunto quando divenne moglie di Red Upshaw, contro la volontà di suo padre: il suo nuovo marito era così pericoloso, imprevedibile, bellissimo e dissoluto, la persona perfetta per tirarla fuori dalla noia opprimente e dalla cappa di pregiudizi di Atlanta!
Sposatasi per fuggire, Peggy, però, si ritrovò ben presto intrappolata nella gabbia di un uomo violento, un contrabbandiere bellicoso, che la mortificava e l'annientava.
Fu proprio per sfuggire dall'insolenza di Red, che Peggy iniziò a scrivere, prendendo l'ardua decisione di diventare una giornalista in una città che escludeva le donne dalla maggior parte delle redazioni. La guerra  divenne sempre più ardua.
Dopo che il marito la ferì così gravemente da farla finire in ospedale, lo lasciò, si abituò a dormire con una pistola accanto al letto e decise di risposarsi con l'ex testimone di nozze John Marsh, che l'adorava. E' proprio in questo humus di rancore, debolezza e fragilità che Peggy partorì il suo unico e mastodontico capolavoro: Via col Vento

Il romanzo, finalmente pubblicato, sbancò sul mercato e polverizzò tutti i record, vendendo 1.376.000 copie in un solo anno. Quando Peggy morì, nel 1949, il Washington Post dichiarò: «Se c'è una misura quantitativa del successo nella letteratura, Margaret Mitchell è stata la più grande autrice della sua generazione e, forse, del ventesimo secolo». 
Oggi Via col Vento è tradotto in 37 paesi e ha complessivamente raggiunto la quota di 30 milioni di copie, che lo rendono uno dei romanzi più venduti di tutti i tempi. Dal 1939, l'omonima versione cinematografica, con gli indimenticabili volti di Vivien Leigh e Clark Gable, ha ad oggi incassato 198 milioni di dollari, diventando una delle più grandi fabbriche di soldi della storia del Cinema.

Ma qual'è la vera origine di questo straordinario successo planetario? 
L'ispirazione per tutto ciò arrivò a Margaret Mitchell da un episodio avvenuto durante la sua infanzia. Un pomeriggio, l'adorata madre Maybelle, la portò con sé in una scampagnata su un carrozzino, mostrandole le meraviglie delle Contea intorno ad Atlanta: orgogliosa le indicò le piantagioni e le un tempo lussuose magioni dei latifondisti, fatiscenti ma ancora in piedi come un monito, a segnalare le vergogne della Guerra Civile. Quel senso di ammirazione mista ad amarezza, che subitaneamente invase Peggy, non la abbandonò mai più. 

Scrivendo Via col Vento, Peggy si era impegnata in qualcosa di molto più straordinario di un libro lunghissimo; quelle 1037 pagine facevano parte dell'eterna battaglia che la impegnò per tutta la vita: una battaglia in cui si cercava disperatamente di dare un senso a un mondo fortemente tradizionale, che le chiedeva soltanto di tenere alto il buon nome della sua famiglia e di acquisire la perfetta padronanza delle usanze sudiste. Da qui nasce la narrazione doppia, volta a descrivere un mondo perduto e un modo di vivere ormai irrimediabilmente morto con le vicende di un'eroina immortale, intrecciando nascita, amore e morte ai fatali eventi storici.
La storia dell'indimenticabile Rossella O'Hara, viene intessuta abilmente su uno sfondo storico complesso e contraddittorio come l'eroina che si ritrova a viverlo, una donna le cui lotte interiori sono degne delle Termopili. In fondo, il cuore del libro, è proprio ciò che la sua autrice Peggy conosceva meglio di ogni altra cosa: la battaglia. La Mitchell stessa, nel 1936 affermò che se mai Via col Vento si fosse dovuto condensare in un tema, questo era proprio quello della Sopravvivenza, ovvero quella forza comandata da non si sa quale bislacco Fato, che porta alcuni individui a sbocciare splendenti durante le catastrofi, dando prova di tutto il proprio coraggio e la propria forza, mentre altri ne rimangono irrimediabilmente annichiliti. Alcune persone semplicemente sopravvivono, altre no. Quali sono quelle qualità che permettono alle prime di combattere trionfalmente per la propria vita, plasmando la propria strada, e che fatalmente mancano a coloro che vengono sommersi dagli eventi? 

Via col Vento è senza dubbio un romanzo travolgente, che svolge la sua complessa narrazione durante un momento cruciale nella storia americana: la Guerra Civile. Pubblicato nel corso di un'altra epoca di importante transizione per la cultura degli Stati Uniti, la Grande Depressione, l'opera di Margaret Mitchell incarna tutto ciò che significava America in quei tempi, catturandone l'essenza e trasponendola con il linguaggio vivido e suggestivo della letteratura. A dipingere l'America, al contrario di quanto di possa pensare, non è unicamente lo stile di vita del Sud, la Guerra Civile, la schiavitù o gli yankees, ma sono, soprattutto, gli individui, che su questo sfondo nascono, crescono, si amano, si trasmutano e muoiono.
L'America, in fondo, non è altro che una società di individui, fondata sul concetto stesso di individuo, che diventa estremamente lampante nella Dichiarazione di Indipendenza dove fu scritto: «Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità». 
Sia giusto o sbagliato il modo in cui essi agiscono, è innegabile affermare che tutti i personaggi di Via col Vento dedichino la loro intera esistenza perseguendo proprio questo, anelando la propria Libertà, la forma di Vita a loro più congeniale e un'assurda e irraggiungibile Felicità. E mentre le intere vicende si dipanano intorno al nucleo centrale di una protagonista straordinaria, Rossella O'Hara, l'intero romanzo si fonda sul carattere e sulle vite di molti altri individui diversi, da Melania Hamilton a Rhett Butler, da Ashley Wilkes all'adorabile Mammy. Ogni singolo personaggio di questo prodigioso racconto è un ritratto dell'America e rivela un diverso aspetto di quello che un americano, anche oggi, è.

Il motore delle vicende, è il senso di appartenenza a un florido e palpitante Stato, la Georgia, e l'amore per la terra rossa delle piantagioni di cotone, il fondamento di una civiltà. La Georgia settentrionale non era sempre stata ospitale: era una regione aspra, abitata da gente aspra anch'essa, abituata sia al gelido freddo invernale che all'afoso caldo estivo. Nel suo popolo vi era un vigore e un'energia che sorprendevano qualsiasi straniero, anche coloro che provenivano dalla Costa, come l'aristocratica Elena Robillard, futura madre di Rossella O'Hara.
La gente del settentrione era buona, gentile e generosa, ma al contempo risoluta, caparbia e facile all'ira. Questi singolari abitanti venivano da molti luoghi diversi, da regioni limitrofe, ma anche dall'Europa e dal Nord, recatisi colà a cercare fortuna, trapiantati in una terra straniera senza alcun avere, se non il sangue irrequieto dei propri antenati nomadi che scorreva nelle loro vene. 

Ciò che dava fertilità a questa terra era l'ondata di prosperità che volgeva il suo volto verso il Sud: tutto il mondo chiedeva cotone e la Contea era ben felice di offrirne in abbondanza; il cotone era il cuore pulsante della Georgia, «la semina e il raccolto le sistole e le diastole della vermiglia terra». Dai solchi sinuosi, dai cespugli, dal verde e dal bianco fioccante derivava l'arroganza e la certezza dell'indomani, che inondava gli abitanti del Sud di un entusiasmo e una gioia di vivere sconosciuti ai più. Avevano abbastanza denaro per divertirsi e lo facevano volentieri: la riunione settimanale nell'imponente magione dell'uno o dell'altro non veniva mai a mancare, così come le partite di caccia, le corse di cavalli e i lussuosi balli ravvivati dalle risate cristalline delle più belle e fresche fanciulle di quella terra. Era un popolo che non aveva reticenze, comandato dalla più squisita galanteria che imponeva franchezza e rettitudine e che portava ad apprezzare un uomo semplicemente per quello che era. 

In tutta questa sfavillante società rurale, il ruolo di una donna era fondamentale, ma di certo non facile. In quell'epoca il mondo era degli uomini e così doveva essere accettato. L'uomo era lodato e la donna lodava;  l'uomo poteva essere sgarbato, ubriaco o disobbediente e la donna doveva sopportare senza parlare; l'uomo poteva infuriarsi e sbraitare per una scheggia che gli pungeva il dito, mentre le donne dovevano soffocare i gemiti del loro parto per non disturbare i propri mariti. Gli uomini potevano essere assenti o rudi, mentre le donne non mancavano mai di essere gentili e disposte a perdonare. Veniva insegnato loro ad essere civettuole e briose da nubili, ma anche a conservare il proprio sorriso persino durante i più atroci dolori. E tutto ciò era quello che la società si aspettava da una ragazza deliziosa come Rossella O'Hara

Il suo destino non poteva essere altro che quello de "La Belle del Sud", archetipo della giovane donna sudista appartenente alla vecchia upper class, la cui maggior attrattiva non era rappresentata dalla sua bellezza fisica -anche se, in Rossella, non mancava di certo- , ma piuttosto dal suo fascino. Una tipica bellezza di questo genere era rappresentata dalla madre, Elena O'Hara Robillard, idealizzata quasi come la Vergine del Vangelo, la cui schiena non vide mai riposo in vita e il cui spirito era continuamente pronto a diffondere calma e giustizia. 

Tuttavia Rossella era ben lungi dal conformarsi alla tradizione e, soprattutto, dall'assomigliare a sua madre.
Con grande indignazione della propria bambinaia di colore, l'indimenticabile Mammy, ella preferiva di gran lunga come compagni di gioco i bambini degli schiavi e i maschietti del vicinato, al posto delle sue ubbidienti sorelline o delle educate signorine Wilkes. D'altronde, questa caratteristica le gioverà notevolmente al suo debutto in società; senza alcuna amica, ma con un fascino irresistibile, riuscirà ad accaparrarsi come corteggiatori tutti i suoi compagni di infanzia e ciò, di certo, non dispiacque a sua madre: il primo dovere di una fanciulla, infatti, era quello di sposarsi
A tal fine Elena O'Hara e Mammy si prodigarono in sforzi notevoli per rendere Rossella una buona allieva, ottenendo ottimi risultati: nessuna fanciulla della Contea parlava più graziosamente di lei, sapeva sorridere con garbo, muoversi in maniera pudica e allo stesso tempo attraente e fingere tremiti di dolci emozioni con un solo battito di ciglia; ma, soprattutto, aveva imparato a nascondere agli uomini un'intelligenza estremamente acuta e una lingua tagliente, mascherando il tutto dietro un visino dolce e innocente come quello di una bambina.

Rossella O'Hara, infatti, imparò solo la vernice, il tratto superficiale della gentilezza, senza mai veramente apprendere la grazia interiore dalla quale questa doveva sgorgare. La società voleva apparenza e lei questo riservava alla società, non desiderando nulla di più, se non di essere la ragazza più affascinante e corteggiata della Contea. 
Rossella voleva sposarsi -e sposare un uomo in particolare, Ashley Wilkes- e se questo comportava l'apparire in maniera modesta, docile e leggera, non avrebbe di certo deluso le aspettative. Non sapeva perché gli uomini fossero attirati da ciò, ma visto che tutto funzionava, non occorreva lambiccarsi al riguardo. Quell'insieme di civetterie seducenti era come l'applicazione di una formula matematica e la matematica era l'unica materia che Rossella aveva appreso senza alcuna difficoltà a scuola. La natura profonda di chi la circondava, i sentimenti altrui e l'analisi dei moti interiori dell'animo le interessavano davvero poco: il raziocinio maschile le appariva alquanto oscuro e conosceva ancor meno quello femminile. Non aveva alcun interesse per le donne, le quali, per lei, non erano altro che nemiche naturali che inseguivano la medesima preda: l'uomo da sposare.
Questo è il modo in cui Margaret Mitchell ci presenta Rossella O'Hara al principio del suo capolavoro. Tuttavia, è un idillio che durerà ben poco: la Guerra Civile cambierà irrimediabilmente tutto

Rossella O'Hara si rivelerà un'eroina atipica: egoista, vanesia ed egocentrica, penetrerà nell'animo del lettore come una spina imbevuta del più dolce veleno. Incostante e volubile, sprecherà una vita intera a inseguire l'immagine di uomo senza mai capirlo veramente, maltratterà i figli, allontanerà da lei tutte le persone veramente care e disprezzerà coloro che le vorranno bene. 
Eppure la sua forza d'animo, il suo spirito battagliero, la sua caparbietà, diventeranno un ossessione per il lettore di Via col Vento, che si sentirà preso in trappola dalla vorticante personalità di questo personaggio. Inadatta a nient'altro che al lusso, è con stupore crescente che osserveremo Rossella resistere alla bufera della guerra, sollevarsi la gonna per partorire o trascinare nel buio, nel fango e nelle fiamme Melania Wilkes, l'odiata moglie del suo intramontabile amore Ashley. 

Rossella è fondamentalmente una guerriera e, come tale, non è mai del tutto gradevole o soave. In Rossella O'Hara vi è qualcosa di crudele e vitale allo stesso tempo che spezza le barriere della Storia, della fame, del dolore, inarrestabile, temibile e affascinante come un tornado o un'eruzione vulcanica. Non si è in grado di rimproverarla o di disprezzarla completamente, neppure quando soffia il fidanzato alla sorella, quando spara in faccia a uno yankee o quando distrugge tutto l'amore che la circonda. E che strazio osservarla mentre abbandona la poca dolcezza di materna memoria, per trasformarsi in una donna dura, disposta a vendere il proprio corpo pur di non separarsi dall'adorata e venerata Tara, la sua terra d'origine, la sua casa, suo sogno e sostegno. 
Il lettore, senza fatica, proverà la stessa incrollabile ammirazione che Ashley Wilkes svilupperà verso di lei, vedendola allontanarsi dal suo amore e rinunciare ai sentimenti, con un tremito, irrigidendo le spalle e sollevando la testa. In fondo, Rossella, era colei che gli faceva percepire in maniera più vibrante la propria inettitudine, rendendolo nulla in confronto all'anima più intrepida che egli avesse mai conosciuto. Comprendeva che quella straordinaria donna era in grado di guardare la vita dritta negli occhi, opponendo il suo forte spirito a qualunque ostacolo le si presentasse e continuando inesorabilmente a combattere anche quando la sconfitta appariva inevitabile.

Ed è proprio a questo punto che il Fato gioca la sua carta più crudele, ponendo sulla strada di Rossella la sua anima gemella, Rhett Butler, ma impedendole di comprendere veramente il suo ruolo se non al capolinea, quando ormai è troppo tardi. 
L'oscuro e appassionato Rhett Butler, come Rossella, aveva infatti catturato e compreso il segreto per sopravvivere, applicandolo con una tecnica tanto particolare quanto difficoltosa: non curarsi dei giudizi altrui e piegarsi dinanzi all'inevitabile. Come cita l'antico aforisma, entrambi avevano infatti capito che non occorreva resistere alle intemperie del tempo ergendosi fino a spezzarsi -come farà una buona parte della società sudista dopo la sconfitta della Guerra Civile-, ma era necessario unicamente flettersi come il giunco in balia del vento. Davanti alle disgrazie Rossella e Rhett arriveranno a piegarsi all'inevitabile, sopportando i più atroci dolori con il sorriso, per poi, una volta nuovamente forti, dare un poderoso calcio alle persone dinanzi alle quali furono costretti a genuflettersi. 

Il sardonico e affascinante Rhett, si rivelerà, alla fine di tutto, l'unico vero baluardo a cui aggrapparsi, il luogo caldo e sicuro in cui rifugiarsi, celato a Rossella dalla caligine della sua mente, prodotta dall'amore ancestrale provato per Ashley. 
Rhett era il petto vigoroso su cui appoggiarsi e piangere, le braccia forti che potevano sorreggerla, l'ironica risata che faceva apparire la realtà per quella che veramente era. Rhett, al ballo per la beneficenza, aveva letto nei suoi occhi velati dal lutto la sua impazienza e, sfidando le più rigide convenzioni, l'aveva fatta ballare; Rhett l'aveva aiutata a liberarsi dalle sue costrizioni e l'aveva accompagnata attraverso il fuoco e le esplosioni la notte in cui Atlanta era caduta; l'aveva pungolata, derisa, ascoltata e consolata, rimanendo sullo sfondo in tutti i momenti cruciali della sua vita, amandola disperatamente
Eppure, troppo tardi il destino permetterà a Rossella di capire il vero valore del suo amore, così come solo davanti al baratro della morte comprenderà anche la straordinaria forza di Melania e la vera natura di Ashley.

Per anni e anni, accecata dall'avvenire, si era appoggiata, senza saperlo, alle solide mura di Rhett, come quelle della dolce Melania, l'unica vera amica che avesse mai avuto. 
Melania: così minuta, remissiva e angelica, incapace persino "di fare 'sciò' a una gallina". Eppure Melania, nel corso delle vicende, aveva dimostrato di essere in grado di farè "sciò" a ben più di un pollastro, sfidando tutto il mondo, il governo yankee e chiunque avesse minacciato il suo Ashley, il suo bambino o la sua cara Rossella. E per quest'ultima, il suo affetto era senza limiti: legata a lei da un misterioso patto di gratitudine, era stata sempre pronta a combattere, al suo fianco, discreta come un'ombra, ma con la sciabola in mano, lottando con lei con appassionata fedeltà contro yankees, fuoco, povertà, contro l'opinione pubblica e, perfino, contro i legami di sangue. 

Tutto questo appare improvvisamente come una visione a Rossella, dispiegandosi definitivamente chiaro e lampante anche di fronte al lettore, così come emerge l'essenza di una delle figure più enigmatiche del romanzo, quella di Ashley Wilkes
Ashley, che conserva in sè l'incanto, l'ingenuità e la pateticità del primo amore adolescenziale, è anch'esso un eroe, ma in completa opposizione a Rhett Butler. Mentre quest'ultimo odia qualsiasi tipo di ipocrisia, non celando nulla ai suoi occhi e prosciugando anche l'ultima punta di dolcezza dalla realtà apocalittica che si ritrova a vivere, Ashley rimane un personaggio onirico ed enigmatico, un esule senza radici, spinto da una sete infinita di libertà e grandezza; un'inquietudine senza nome e il dolore per lo splendore della vita perduta renderanno Ashley una vittima del Fato, reso diverso dall'umanità comune, incapace di esprimere il suo disdegno in gesti clamorosi, ma votato ad avviluppare la propria vita nei sogni senza mai tradurli in azione, esprimendo il proprio rifiuto con la solitudine, la malinconia e la contemplazione angosciosa della propria impotenza. Ed è proprio in questo personaggio, spesso valutato come irritante e insipido, che si concretizza il cambiamento dell'intera realtà sudista, sconfitta e prostrata dalla guerra, ma non ancora pronta a perdere la propria dignità. 

I volti del popolo del Sud, dopo la Guerra, erano poco cambiati e i modi non lo erano affatto: vi era una galanteria immutata, che i gentiluomini come Ashley avrebbero conservato fino alla morte, insieme, tuttavia, a un'amarezza troppo atroce per essere espressa a parole. I sudisti erano un popolo ardito, ma stanco, sconfitto ma non disposto ad accettarlo. Costoro vivevano ancora nella terra che amavano, ma la vedevano calpestata, bruciata, rasa al suolo dal nemico: i furfanti al potere, i loro uomini privati dei diritti politici e le loro donne insultate. Tutto ciò che rimaneva di loro erano le antiche usanze, immutate; restavano aggrappati a ciò che avevano amato: la cortesia, le maniere galanti e la piacevole superficialità dei rapporti sociali. Ma come biasimarli? 
Rossella era diversa e pertanto le era impossibile capire Ashley e quelli come lui. Rossella arriverà a detestare coloro che ormai le arriveranno ad apparire come estranei, dei pazzi orgogliosi; quanta incomprensione verso quelle donne che continuavano cocciutamente a mantenere un atteggiamento da signore nonostante quotidianamente si dedicassero a umili lavori, mentre lei non riusciva a sentirsi meno di un relitto se non indossando un abito di velluto, nonostante l'orgoglio dei suoi natali e la ricchezza di un tempo. L'atroce contatto con la rossa argilla di Tara l'aveva privata di ogni dolcezza, l'aveva resa forte, ma le aveva imposto di non contemplare più il passato, pena la sua eterna perdizione. 
Ed è proprio in questa presa di consapevolezza che Margaret Mitchell inserisce la propria morale, la formula magica per la Sopravvivenza: non guardarsi mai indietro.

La celeberrima battuta finale di Via col Vento dovrebbe essere recitata da ognuno di noi come un mantra; la straordinaria potenza delle parole «Dopo tutto, domani è un altro giorno», si imprime a fuoco nella mente del lettore. Offesa e umiliata, lasciata di nuovo completamente sola, Rossella ha ancora l'ardore di volgere gli occhi verso l'avvenire. Ed è questa la vera essenza del successo del popolo americano: gli americani sono sopravvissuti a qualsiasi dramma storico imponendosi di non volgersi mai al passato. La fondazione stessa dell'America si basa sul movimento in avanti: perché, altrimenti, orde di clandestini avrebbero dovuto attraversare un oceano e abbandonare la loro intera esistenza e gli affetti, prendendo l'ardua decisione di stabilirsi in un Nuovo Continente?

Rossella O'Hara e la sua creatrice marchiarono a fuoco sulla loro pelle questo monito, a cui furono debitrici del loro successo e dei loro errori. Entrambe abilissime nell'attacco a sorpresa, furono, loro malgrado, travolte dagli eventi.
Peggy Mitchell fu colta alla sprovvista dal successo di Via col Vento: il libro che aveva tenuto celato al mondo per così tanti anni scatenò una vera e propria rivoluzione, le fece vincere un Premio Pulitzer e determinò l'inizio di una nuova vita in cui Peggy doveva farsi spazio fra pettegolezzi e fanatici importuni. Affrontò questa ennesima sfida ergendo muri difensivi e segnando intorno a sè, come molti altri autori, invalicabili perimetri di protezione. Negli anni successivi combatté assiduamente per difendere la propria privacy con la stessa tenacia con cui si era battuta per il successo e l'affermazione di sé stessa, resistendo alle eterne -ancor oggi durature- critiche per il suo caratteraccio, il razzismo e il presunto stile da illetterata.

Via col Vento non è una lettura così immediata e semplice, come ci si potrebbe aspettare; i suoi personaggi sono spesso e volentieri sgradevoli e irritanti, ricchi di chiaro-scuri e di contraddizioni; commettono tragici  errori, vomitano, imprecano, uccidono, infrangono la legge e qualsiasi morale. Ma si completano. L'essenza profonda della natura umana risiede sia nell'irriverenza e nella caparbietà di Rossella, arricchita dalla dolcezza e dall'ingenuità di Melania, così come nell'ironia spregiudicata di Rhett che si compenetra nella galanteria sognatrice di Ashley.

Annichilita dal suo stesso successo e dalla lunga malattia del padre, Margaret Mitchell abbandonerà la sua vocazione per la scrittura per lungo tempo, fino al 1949, quando, divenuti i suoi impegni meno pressanti, si risolverà a riprendere in mano la macchina da scrivere. Ma la sera dell'11 Agosto 1949 il Fato le giocherà l'ultimo tragico scherzo: morirà dopo cinque giorni di coma, per essere stata investita da un taxista ubriaco proprio ad Atlanta, sulla Via dell'Albero di Pesco, dove gli immortali personaggi di Via Col Vento passarono e vissero per epoche intere.
L'improvvisa dipartita, impedì a Margaret Mitchell di realizzare, anche nella morte, la privacy che desiderò così ardentemente in vita. I custodi dell'Atlanta Oakland Cemetery affermano come, tutt'ora, turisti a profusione rendano omaggio alla sua tomba. «Vengono praticamente da tutte le parti del mondo. Si aspettano di trovare un grande santuario, e tutto ciò che gli appare davanti agli occhi è una semplice pietra»... ed è questo che, certamente, Margaret Mitchell avrebbe voluto.
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Nelle immagini: 
1) "Gone With the Wind" (1939) - Victor Fleming
    Vivien Leigh as Rossella O'Hara and Clark Gable as Rhett Butler
2) Margaret Mitchell - writing
3) Margaret Mitchell - reading
4) Margaret Mitchell portrait
5) Margaret Mitchell as journalist
6) Vivien Leigh as Rossella O'Hara and Clark Gable as Rhett Butler
7) Vivien Leigh as Rossella O'Hara, Leslie Howard as Ashley Wilkes and other characters
8) Vivien Leigh as Rossella O'Hara at Tara
9) Vivien Leigh as Rossella O'Hara and Thomas Mitchell as Geraldo O'Hara
10) Vivien Leigh as Rossella O'Hara
11) Vivien Leigh as Rossella O'Hara and Hattie McDaniel as Mammy
12) Vivien Leigh as Rossella O'Hara
13) Vivien Leigh as Rossella O'Hara
14) Vivien Leigh as Rossella O'Hara
15) Clark Gable as Rhett Butler and Vivien Leigh as Rossella O'Hara
16) Olivia de Havilland as Melania Hamilton and Vivien Leigh as Rossella O'Hara
17) Leslie Howard as Ashley Wilkes and Vivien Leigh as Rossella O'Hara
18) Screencap from Gone With the Wind - Civil War at Atlanta
19) Vivien Leigh as Rossella O'Hara
20) Vivien Leigh as Rossella O'Hara
21) Vivien Leigh as Rossella O'Hara and Clark Gable as Rhett Butler