lunedì 20 giugno 2011

•Recensione: TRACY CHEVALIER - Strane Creature (Remarkable Creatures)


«La nuova vita è formata da estinzione e morte», annotava Charles Darwin nel 1838, in un taccuino privato. Circa vent'anni dopo, il celebre biologo fonderà il proprio capolavoro letterario, L'origine delle specie, proprio sulla teoria di come i fossili documentino una continuità di forme di vita, dimostrando come milioni di specie preistoriche si estinsero e altrettante presero il loro posto. Una generazione prima, tuttavia, mentre la scontrosa eroina in gonnella di Tracy Chevalier stava facendo ingenuamente riaffiorare dalle scogliere di Lyme Regis, con le sua mani di bambina, le prove che avvallavano tale intuizione, nessuno, neppure fra i più insigni intellettuali, era disposto a credere che Dio non fosse mai stato in grado di pianificare il destino di ogni singola specie del Creato.

Riportando alla luce il primo esemplare di ittiosauro mai studiato prima di allora, Mary Anning, questo il nome dell'eroina - personaggio realmente esistito, cambiò per sempre il nostro modo di vedere il mondo. All'improvviso era apparsa davanti agli occhi dell'umanità una creatura misteriosa, di cui non era mai stata rilevata alcuna tracca sulla terra: un gigantesco mostro marino che non esisteva più da tempo memorabile, una specie estinta. Una scoperta apparentemente insignificante fece nascere il dubbio che in realtà il mondo si trasformasse, anche se molto lentamente, e che fosse soggetto a cambiamenti, invece di rimanere sempre uguale a sè stesso. Un dotto scozzese, James Hutton, aveva già affermato che il mondo non aveva né inizio, né fine, ipotizzando una sua origine talmente remota, tanto da impossibilitare gli scienziati a calcolarne l'esatta data. Hutton, già allora, credeva che il nostro pianeta fosse stato scolpito dall'azione dei vulcani; altri ancora ipotizzavano che l'avesse plasmato l'acqua. Solo nei tempi più prossimi alla scoperta della Anning i geologi combinarono entrambe le teorie, sostenendo che a modellare la terra non fu altro che un susseguirsi di cataclismi: il diluvio universale della Genesi non sarebbe stato che il più recente.

Il biologo francese Georges Cuvier -citato in abbondanza nel libro della Chevalier- estese, per primo, tale riflessione al mondo delle specie viventi: animali e creature erranti possono scomparire se non più idonee a rimanere al mondo. Tale ipotesi, che l'uomo moderno trova pressoché scontata, sconvolse l'opinione pubblica e popolare di inizio Ottocento; si trattava di un'idea inquietante, che metteva in discussione secoli di teologia, in quanto implicava che esistesse un Dio creatore del mondo, ma che, terminata la sua opera, se ne fosse completamente disinteressato, rimanendo impassibile a guardare come creature da lui generate si estinguessero e abbandonassero per sempre gli oceani e le terre del globo. Finché questa congettura riguardava antichi coccodrilli pinnati del Giurassico non risultava così spaventosa da terrorizzare anche i cuori dei fedeli più accaniti... ma se tale destino fosse toccato alla specie umana?

Una versione più edulcorata della teoria dell'estinzione viene presentata da alcuni personaggi del romanzo della Chevalier - ad esempio il mediocre collezionista Lord Henley; tali personalità erano convinte di come l'ittiosauro di Mary Anning non fosse altro che un modello difettoso, una versione abbozzata di coccodrillo che Dio avrebbe scartato in un secondo momento, eliminandolo dalla faccia della terra grazie al diluvio universale. Tuttavia anche tale teoria implicava come Dio potesse compiere degli errori e contemporaneamente sentisse il bisogno di correggerli, facendo crollare irrimediabilmente l'impalcatura di onniscenza e perfezione su cui migliaia di religioni e filosofie avevano edificato le proprie congetture.
E allora come fare? La maggior parte delle persone -vedi il buon reverendo Jones- , soprattutto di estrazione umile e popolare, optarono di plasmare la propria visione del mondo su quanto la Bibbia esprimeva alla lettera: Dio creò il mondo e tutte le sue creature in sei giorni e ogni cosa rimase esattamente come allora, nulla è andato perduto. Di fronte alle vertigini provocate da milioni di anni di storia, scelsero di pensare che il mondo avesse appena seimila anni, secondo l' "illustre" calcolo del vescovo Ussher, ignorando qualsiasi altra affermazione e bollandola come eretica.

E' in questo humus esistenziale che nasce, cresce e risplende Mary Anning, un nome più volte trascurato, ma che identifica quella che, probabilmente, fu la più grande cacciatrice di fossili mai esistita.
Nata nel 1799, Mary Anning, secondo la tradizione, da bambina sopravvisse alla caduta di un fulmine; in mezzo alla tempesta una luce accecante, un frastuono di alberi caduti, un lampo abbagliante che squarcia le tenebre, l'odore della carne bruciata, un ronzio attraverso il corpo. La donna che la teneva stretta fra le braccia morì, ma Mary sopravvisse e, da bambina tranquilla e malaticcia, divenne una ragazzina ribelle, scaltra e brillante. Leggenda o realtà che fosse, ciò che è certo è che Mary Anning possedeva un talento tanto straordinario quanto inquietante per la ricerca dei fossili, tanto che in suo onore fu coniato il celeberrimo scioglilingua anglofono «She Sells Sea Shells on the Sea Shore».
Iniziata dal padre ebanista alla nobile arte della raccolta di "ninnoli", Mary, a soli dodici anni, nel 1811 - Darwin era solamente un bambino di appena un paio di anni- fece la sua prima straordinaria scoperta, l'ittiosauro, la "lucertola pesce", il rettile marino del Giurassico che scosse le fondamenta del mondo scientifico. Fu da questo momento che gli scienziati bussarono alla porta della povera famiglia Anning, oberata dai debiti dopo la morte del capofamiglia Richard, caduto da una scogliera mentre cercava fossili per pagarsi il pane e il carbone e in seguito morto di tisi.

Nonostante le origini miserabili, il talento di Mary non potè essere ignorato e le sue scoperte permisero a diversi scienziati -uomini, ovviamente- di conquistarsi, grazie alle loro teorie, un posto nella Storia; per non parlare dei collezionisti, che arricchirono i propri musei di ciarpame, con i preziosi "ninnoli" di Mary Anning.
Uno dei temi centrali di Strane Creature sono, infatti, le barriere invalicabili che, all'epoca ma non solo, determinavano una gerarchia talmente cristallizzata, tanto che era impossibile per una "stracciona di provincia" permettersi una qualsiasi mobilità sociale, nonostante tutti gli straordinari talenti che potesse avere.
E il primo forte contrasto è quello rappresentato proprio dai "cacciatori" di fossili e dai meri collezionisti, in grado unicamente di stilare papiri di cose che desidererebbero procurarsi, riempiendo le proprie vetrine di curiosità frutto di ricerche altrui. Per i collezionisti le rocce sono tutte uguali e le scogliere sono noiose, come una mostra di quadri scadenti. Basta a loro trovare un frammento di ammonite o una squallida grifea per sentirsi dei veri esperti; non nutrono alcun eccessivo interesse per i fossili: sanno semplicemente che vanno di moda e tanto basta a gratificare la loro vanità.
I cacciatori come Mary Anning, invece, lottano duramente per le loro conquiste; trascorrono ore e ore, giorno dopo giorno, anno dopo anno, davanti al mare, con ogni tempo e con qualsiasi temperatura. Alle vanitose mani vellutate dei collezionisti, si contrappongono dita screpolate, facce scottate dal sole, capelli arruffati dal vento e occhi perennemente strizzati, irritati dalla polvere e dal sole. La sera, i cacciatori come Mary Anning, rincasano con le vesti sudice e la febbre da insolazione, spesso senza aver trovato nulla, ma non sono le mani vuote a scoraggiarli. Accolgono con entusiasmo ogni dono che le scogliere hanno loro da offrire e ringraziano Dio ad ogni nuova scoperta. Purtroppo essere cacciatrici e pure donne è una condizione necessaria e sufficiente per vanificare la propria autostima: le teorie e la scienza vengono scritte dagli uomini sulle riviste, mentre a una cacciatrice è dato solo il privilegio di leggerle.

Eppure il talento unico di Mary Anning riuscirà a rompere anche le più restrittive convenzioni, seppur con la fatica di anni e il sudore di numerose scoperte. Capace di raffigurarsi la sagoma di un animale vissuto milioni di anni prima osservando unicamente i frammenti ossei, verrà successivamente definita dall'esploratore tedesco Ludwig Deichart «la principessa della paleontologia». Nel 1824, Lady Harriet Silvester rincara la dose scrivendo nel suo diario privato «Meraviglioso esempio del favore divino, quella povera ragazza ignorante... grazie alle sue letture e alla sua diligenza, è arrivata a un grado di conoscenza tale da potersi intrattenere con professori ed altre persone competenti, e tutti riconoscono che ne capisce più di scienza di chiunque altro nel regno».

In effetti, Mary Anning era tutto fuorché ignorante. Impara a leggere, annota e critica articoli scientifici, apprende l'anatomia sezionando pesci e seppie, in modo da trovare similitudini con le specie estinte.
A ventisette anni apre l'Anning's Fossil Depot, assistita dall'amica e collaboratrice Elizabeth Philpot - seconda protagonista del romanzo della Chevalier -, e riceve l'onore di vedere assidui visitatori in celebrità come re Federico Augusto II di Sassonia, fino a illustri "fossilisti" del museo di storia naturale di Londra o di New York; come non ricordare, infatti, il geologo Charles Lyell, futuro protettore di Charles Darwin, o William Buckland, il reverendo che le resta amico fino alla morte, o ancora Henry Thomas de la Bèche che le dedica l'acquerello Duria Antiquor - tutte figure che appaiono anche in Strane Creature

Le scoperte della Anning non si limitano agli ittiosauri e ai plesiosauri: nel 1829 trova il rettile volante che Buckland ribattezzerà pterodattilo, che confermerà le ipotesi di Georges Cuvier secondo cui vi era stata un'era in cui i rettili dominavano terra, mare e cieli. Infine rinverrà i resti del primo squalorazza riconosciuto come tale e, sempre insieme a Buckland, dimostrerà come i bezoari altro non fossero che feci fossili di dinosauri. Gli specialisti riconoscono le sue scoperte, tent'è che danno il suo nome a numerose specie, ma è già troppo per una popolana. 
Mary Anning morirà a 47 anni di cancro al seno; De la Bèche, presidente della Geological Society - in cui, per tutta la vita, a Mary fu proibito persino di entrarvi, in quanto donna - ne pronuncerà l'elogio funebre davanti all'assemblea.  


Tutto ciò è raccontato, seppur in forma rimaneggiata e romanzata, da Tracy Chevalier in Strane Creature che, aldilà dei meri fatti storici, si dimostra un tentativo più o meno riuscito di elevarsi a testimonianza di un'epoca e a racconto di rottura di convenzioni.
Quella di Tracy Chevalier è essenzialmente una storia di "Remarkable Creatures". Il termine "remarkable", in inglese, ha una doppia accezione: può sia essere riferito a qualcosa di eccezionale o notevole, ma contemporaneamente presentare la sfumatura negativa di insolito o sospetto. "Remarkable" non sono solo i fossili, che contemporaneamente suscitano terrore e fascino nell'umanità di inizio ottocento, ma lo sono anche le due protagoniste, Mary Anning ed Elizabeth Philpot, che incarnano un ideale di donna avulso da quanto era la convezione dell'epoca
Mary è giovane, ribelle, anticonformista e cocciuta, disinteressata a quanto la gente ha da dire sul suo conto, è la ragazza appassionata con i fulmini nelle ossa; Elizabeth, invece, è la voce della donna matura, il cui destino di zitella è segnato da un aspetto severo e ingrato e da un carisma intellettuale troppo avanzato per essere una sposa, fin troppo consapevole di quanto la società, anche di un piccolo paesino, può essere crudele.

Tracy Chevalier immerge queste due protagoniste in un ambiente che, a tutti gli effetti, possiamo definire "austeniano". E i riferimenti a Jane Austen sono davvero molti.
La situazione iniziale delle vicende, infatti, è familiare a quella di Sense & Sensibility: troviamo una ragazza borghese, irrimediabilmente condannata a rimanere zitella, che viene spedita a vivere più a buon mercato altrove, dal fratello neo-sposo che, guarda caso, si chiama John. Elizabeth e le sue sorelle, Margaret (!) e Louise, si stabiliscono a Lyme Regis, località balneare della contea del Dorset, ed è qui che incontrano Mary Anning e i suoi fossili.
Omaggi alla cara Jane piovono ancora a profusione; Margaret, ad esempio, è una profonda ammiratrice delle sue opere e asserisce di averla incontrata al circolo del paese, che è solita a frequentare. Il fatto non stupisce particolarmente: infatti Tracy Chevalier, nella postfazione, afferma come sia documentato un passaggio di Jane Austen a Lyme Regis nel 1804, durante il quale la celebre autrice avrebbe fatto conoscenza di Richard Anning, padre di Mary, in qualità di ebanista, per chiedergli un preventivo per la riparazione di un baule. Tuttavia «stando alla lettera che inviò a sua sorella, la Austen giudicò la cifra esorbitante, tanto che si rivolse a un altro artigiano».
Nonostante i continui richiami all'adorata Jane, Tracy Chevalier opera un capovolgimento laddove arriva a presentarci due donne che nel cuore dell'Ottocento non hanno bisogno di un uomo per vivere e che dedicano la loro intera esistenza alla paleontologia, ai fossili e agli animali estinti e che, per un bisogno interiore, sono in grado di costruirsi la propria cultura da sole. 

Senza dubbio il forte riferimento a vicende storiche realmente accadute costituisce il principale motivo di interesse del romanzo, come anche la metafisica contrapposizione fra creazionisti e evoluzionisti, che nell'Ottocento stava appena iniziando a prendere piede.
I personaggi sono interessanti, ma le vicende molto ripetitive: c'era da aspettarselo. La stessa Chevalier, sempre nella postfazione, infatti scrive: «l'atteggiamento nei confronti del tempo invalso nel ventunesimo secolo e ciò che oggi ci aspettiamo solitamente da una storia sono molto lontani dalla vita reale di Mary Anning. Mary la spese, giorno dopo giorno, anno dopo anno, facendo sempre le stesse cose negli stessi posti. Ho cercato di condensarne gli eventi in una narrazione che non abusasse della pazienza del lettore».
Non c'è molto posto per l'amore in Strane Creature, ma ve n'è per l'amicizia, il sentimento più profondo e, forse, meglio caratterizzato dell'intero romanzo. Ovviamente -Austen, anche qui, insegna- non manca un lieto fine, abbastanza felice, che pone termine alle tribolazioni e che garantisce alle protagoniste una lunga e allegra esistenza in comunione, ma che lascia parzialmente appagato il lettore, a cui, al termine del libro, rimarrà soltanto un retrogusto salato e un pò di polvere di argilla sulle dita.
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Nelle immagini:
1) Lyme Regis - Dorsetshire (thanks to cuffbertt)
2) Ammonite (thanks to theunchartedwastes)
3) Mary Anning with her dog Tray, painted before 1842
4) Ittiosauro Fossile
5) Storm Series (thanks to littlemewhatever)
6) At the Seaside (thanks to Julanna)
7) Talking to the Butterflies (thanks to dim-baida)
8) ... (thanks to kannagara)

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